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Per Aspera Ad Veritatem n.22
La nozione di “segreto” in ambito Europol

Maurizio CALAMO


La Convenzione che istituisce Europol dedica alla materia del "segreto" gli articoli 31 e 32. Secondo quanto previsto dall'art. 31 gli Stati membri garantiscono la protezione delle informazioni che devono essere tenute segrete, raccolte o scambiate in ambito Europol.
L'articolo 32 dispone che gli agenti dell'Europol, vincolati al segreto ed alla riservatezza, sono tenuti ad osservare la discrezione su fatti e informazioni di qualsiasi natura di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni o attività.
Il Consiglio dell'Unione Europea, il 3 novembre 1998, ha adottato alcune norme sulla sicurezza Europol. A tutte le informazioni trattate dall'Europol, fatta eccezione per le informazioni pubbliche, è attribuito un livello di protezione minimo.
Gli Stati membri garantiscono l'applicazione del livello di protezione minimo con varie misure che assicurino comunque il segreto, la riservatezza e la limitazione dell'accesso alle informazioni. Alle informazioni che richiedono ulteriori misure di sicurezza è attribuito un livello di sicurezza Europol, solo se indispensabile e per il tempo necessario.
I livelli di sicurezza Europol sono tre: EUROPOL 1 per informazioni la cui circolazione non autorizzata arrecherebbe un danno grave agli interessi fondamentali dell'Europol, ovvero di uno o più Stati membri, EUROPOL 2 per un danno molto grave ed EUROPOL 3 per un danno estremamente grave.
L'art. 8 del citato atto del Consiglio del 1998 prevede poi espressamente che "i livelli Europol da 1 a 3, per quanto riguarda le misure da applicare, corrispondono, per quanto possibile, alle categorie di classificazione esistenti a livello internazionale".
Vogliamo verificare come il "segreto" possa armonizzarsi con la disciplina in vigore nel nostro Paese.
La nozione di "segreto" nel nostro ordinamento si presta a svariate interpretazioni, con possibili confusioni e sovrapposizioni e, anche quando il concetto di "segreto" è associato a quello di "sicurezza", si finisce spesso per confondere il "segreto di Stato" con il "segreto d'ufficio" e con il "segreto processuale”.
Per quanto concerne il "segreto di Stato", la disciplina giuridica è individuabile nella legge n. 801 del 24 ottobre 1977 che ha formulato una unica nozione, riferita ad atti e documenti la cui diffusione è idonea a recare un danno all'integrità dello Stato, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione, al libero esercizio degli organi costituzionali, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni tra esse, alla preparazione ed alla difesa militare.
Il fondamento giuridico del segreto di Stato potrebbe essere individuato, in tal caso, nel dovere di difesa della Patria, di cui all'art. 52 della Costituzione, estendendo la nozione oltre i limiti propri dell'azione militare. Viene anche richiamato l'art. 54 della Costituzione che pone il principio della fedeltà. Il comma 2 dell'art. 12 della legge 801/1977 sembra accogliere questa interpretazione, ponendo esplicitamente il divieto di dichiarare "segreti" i documenti il cui contenuto risulti essere eversivo dell'ordine costituzionale.
In materia, una particolare rilevanza è attribuita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e il Presidente del Consiglio è un vero e proprio ministro del Segreto di Stato; il Ministro dell'Interno e della Difesa hanno la responsabilità dicasteriale sovraordinata ai due Servizi che ne dipendono, rispettivamente Sisde e Sismi.
La direzione di politica generale è del Governo ed è svolta dai Ministri attraverso i propri uffici di Gabinetto, impegnati a dare concreta attuazione a quei medesimi indirizzi di politica generale.
La competenza a decidere in ordine alla necessità del segreto risiede nel potere esecutivo; il potere giurisdizionale non ha la possibilità di negare la "necessità" del segreto.
I doveri connessi alla nozione di segreto di Stato possono essere talvolta confusi con il "segreto d'ufficio": il pubblico dipendente deve osservare il segreto d'ufficio e la riservatezza, rientrando ciò tra i doveri previsti dal T.U. 10 gennaio 1957 n. 3. L'impiegato non può dare a chi non ne abbia il diritto, anche se non si tratta di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura, o notizie delle quali sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno all'Amministrazione o a terzi.
Tale osservanza del segreto d'ufficio deve essere naturalmente posta in relazione a quanto previsto dalla legge 7 agosto 1990 n. 241; in particolare l'art. 22 riconosce a chiunque vi abbia interesse il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla legge.
Diversa è invece la nozione di "segreto processuale" previsto dal Codice di Procedura Penale per tutte le fasi delle indagini preliminari.
Mentre il segreto nel sistema inquisitorio si riferisce alla costruzione dell'impalcatura probatoria, sulla quale finirà col sorreggersi l'intero processo e dalla quale nascerà la decisione del giudice, il "segreto" nel processo accusatorio si giustifica con la necessità di impedire che premature pubblicazioni di situazioni o di fatti relativi allo svolgimento dell'attività investigativa possano ostacolare l'iter verso la corretta individuazione di quegli elementi che dovranno fornire al pubblico ministero le necessarie indicazioni in ordine al promovimento dell'azione penale.
La segretezza processuale viene meno, oltre che al momento della chiusura della fase investigativa, con la conoscenza o con la conoscibilità che degli atti la legge consente al sottoposto alle indagini, vale a dire allorquando il compimento dell'atto richieda la presenza dell'interessato (ad es., un interrogatorio) o anche semplicemente del suo difensore (ad. es., un accertamento tecnico non ripetibile).
In relazione a quanto indicato, vogliamo ora verificare come la disciplina del segreto Europol possa armonizzarsi con la normativa degli Stati membri e, quindi, anche con quella italiana. Infatti la normativa Europol prevede che l'uso delle informazioni con contrassegno di sicurezza debba rispettare le limitazioni imposte dagli Stati membri.
Secondo quanto previsto dall'art. 5 della legge 23 marzo 1998 n. 13 (che ha ratificato la Convenzione Europol), gli agenti Europol, nonché gli appartenenti alle forze di polizia in rapporti con Europol, che rivelano notizie d'ufficio le quali debbano rimanere segrete o riservate (ovvero ne agevolino in qualsiasi modo la conoscenza) sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. Qualora l'agevolazione sia stata colposa, la reclusione è sino ad un anno.
La pena è maggiore in presenza di un indebito profitto patrimoniale (da due a cinque anni) o di un ingiusto profitto non patrimoniale (sino a due anni).
Il problema interpretativo consiste nel ritenere se, nel nostro paese, la nozione di "segreto Europol" sia direttamente assimilabile a "segreto di Stato", pur in mancanza di una specifica norma che equipari a tutti gli effetti la documentazione classificata "Europol" a quella del "segreto di Stato".
Si pensi, per esempio, al meccanismo dell'opposizione del segreto all'Autorità Giudiziaria regolato dal Codice di Procedura Penale, ove si prevede che i pubblici ufficiali, chiamati a testimoniare, hanno l'obbligo di astenersi dal deporre e non devono essere interrogati su quanto coperto dal segreto di Stato.
Ugualmente occorre verificare se la nozione di segreto Europol possa essere assoggettata alla disciplina nazionale in tema di segreto di Stato, anche per quanto riguarda la riservatezza.
Se una notizia riveste le caratteristiche perché ad essa sia attribuita una riservatezza, detta attribuzione non può venir meno in funzione della sua comunicazione alla Magistratura.
Nell'esercizio dell'attività di polizia giudiziaria e di quella giurisdizionale, vige l'art. 262 del Codice Penale, concernente il divieto di rivelazione senza giusta causa di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione da parte delle competenti Autorità Amministrative.
Detta norma obbliga infatti anche la Magistratura, anche se, nel bilanciamento con l'interesse alla riservatezza, debbono risultare prevalenti le ragioni di giustizia (a differenza di quanto avviene per le esigenze di segretezza). Detta prevalenza consente ad ogni soggetto processuale di assumere conoscenza, anche per la difesa, di tutti gli elementi acquisiti durante l'istruttoria, ivi compresi quelli contenuti in documenti di cui sia vietata la divulgazione. Al di fuori delle esigenze processuali deve però ritenersi esclusa ogni forma di divulgazione della notizia stessa da parte degli organi giudiziari e degli altri soggetti processuali che ne abbiano avuto conoscenza per ragioni del loro ufficio. La divulgazione di notizie sulle quali sia stata richiamata la riservatezza attraverso la "vietata divulgazione" è sanzionata dall'art. 262 del Codice Penale (fattispecie diversa e più grave della violazione del segreto istruttorio).
Anche nella fase dibattimentale esiste la possibilità che la riservatezza sia assicurata, poiché il magistrato può tutelare l'interesse alla riservatezza attraverso il dibattimento a porte chiuse.
Il problema è quello così dell'opponibilità o meno all'autorità giudiziaria del segreto sui dati Europol, anche perché la nozione di EUROPOL 1 sembra avvicinarsi alla nozione di "riservatezza" e EUROPOL 2 e 3 a quella di "segretezza".
Si pensi all'ipotesi di un Ufficiale di Polizia Giudiziaria che riceve una nota Europol di elevata classifica di segretezza, per esempio EUROPOL 3, che costituisce per il nostro Paese "notitia criminis".
In mancanza di una norma che disponga esplicitamente l'equiparazione, l'Ufficiale di Polizia Giudiziaria si troverà di fronte ad un dilemma. Se considera il documento automaticamente soggetto alla nostra disciplina egli deve astenersi dall'informare l'Autorità Giudiziaria. In questo caso però, per il nostro ordinamento, potrebbe incorrere nel reato di omissione.
Se, invece, decide di notiziare l'Autorità Giudiziaria, viola il vincolo Europol e può quindi incorrere nelle sanzioni previste dall'art. 5.
A favore della interpretazione che riconduce automaticamente la documentazione classificata Europol alla nozione di segreto di Stato viene richiamato l'art. 12 della legge n. 801 del 1977 per il riferimento agli "...accordi internazionali...", tra i quali rientra la Convenzione Europol, insieme all'art. 8 del regolamento sul segreto Europol che attribuisce i tre livelli di sicurezza Europol, anche in relazione agli "interessi fondamentali... di uno o più Stati membri" e all'articolo 12 della citata legge n. 801/1977, laddove sembra ricomprendere la nozione di "interesse fondamentale".
Si richiamano infine gli articoli 31 e 32 della Convenzione Europol, che distinguono la segretezza dalla riservatezza.
Estendere la normativa sul segreto di Stato al segreto Europol, in mancanza di un esplicito riferimento del legislatore, sembra tuttavia una forzatura. La capacità di sottrazione alla conoscibilità di un documento coperto dal segreto di Stato è un potere rilevante, che va riportato in un ambito di forte tipicità.
Quale soluzione, allora?
Sembrerebbe più convincente l'interpretazione secondo cui si tratterebbe di una nuova ed autonoma figura di segreto d'ufficio.
Secondo quanto previsto dall'art. 32 della Convenzione il personale Europol, particolarmente vincolato al segreto ed alla riservatezza, è tenuto ad osservare la discrezione sui fatti e informazioni di qualsiasi natura di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni o nell'ambito delle loro attività.
Nello stesso senso potrebbe anche essere interpretato l'art. 5 della legge 23 marzo 1998 n. 93.
Sul piano processuale si potrebbe individuare un'ipotesi speciale rispetto al reato di cui all'art. 326 del Codice Penale (Rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio).
La disciplina sul "segreto Europol" rispetto all'Autorità Giudiziaria andrebbe pertanto individuata esclusivamente nella Convenzione laddove si prevede che, nell'ipotesi di deposizioni o dichiarazioni in sede giudiziaria su notizie riservate "Europol", sia imposto a chi depone o dichiara il previo "interpello" dei vertici Europol.
Infatti, l'art. 32 della legge n. 93 del 23 marzo 1998 prevede, al 3° comma, che qualora la legislazione dello Stato membro preveda il diritto di rifiutare la deposizione, le persone invitate a deporre devono essere debitamente autorizzate a testimoniare.
L'autorizzazione è data dal direttore e, qualora egli stesso sia invitato a deporre, dal Consiglio di amministrazione. Nell'ipotesi in cui un ufficiale di collegamento sia chiamato a deporre in merito a informazioni che gli sono pervenute dall'Europol, l'autorizzazione è rilasciata previo accordo dello Stato membro da cui dipende l'ufficiale di collegamento in questione.
Appare evidente, però, che la normativa appena citata non contempla la necessità di "interpello" al di fuori delle dichiarazioni e delle deposizioni.
Non appare, pertanto, possibile identificare in via generale la nozione di "segreto Europol" con quella di "segreto di Stato", né tantomeno esentare dall'obbligo di comunicazione all'Autorità Giudiziaria coloro che detengono documentazione classificata "Europol" che costituisca "notitia criminis" per il nostro ordinamento.
Certamente accettare la tesi fin qui prospettata significa, in concreto, tutelare "di meno" la riservatezza dei dati "Europol". È, quindi, auspicabile una migliore armonizzazione delle attuali normative anche se una notizia classificata Europol, la cui diffusione arrechi un danno grave allo Stato, trova nel nostro ordinamento, al di là delle classifiche di segretezza formalmente poste, la protezione, di fatto, prevista dalla disciplina dell'art. 12 della legge 801 del 1977.



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